In primo piano 09 Novembre 18

Paparazzi

In occasione della Mostra al MAXXI di Roma in onore di Rino Barillari, King dei paparazzi, pubblichiamo, a richiesta, il racconto “Paparazzi” dedicato in memoria del capo dei fotografi di CASARTIGIANI Franco Appetito e nel ricordo struggente di una Roma internazionale tornata in quegli anni 50 -60 Caput Mundi.

Piove che Dio la manda, stanotte a Roma. Hai voglia a dire che il clima romano è unico e raro, quando ci si mette a piovere, sembra di stare in un acquario capovolto e mezzo pieno, pur bello e pieno di pesci di tutte le specie, dove l’unica preoccupazione è rimanere a galla, sempre che non si raggiunga la copertura, ovvero il fondo, sempre che ci sia una copertura o meglio un fondo .
Del resto, è gennaio inoltrato e anche la Dolce Vita così la chiamano non contempla necessariamente, in questo periodo, neppure nella Roma, pre-olimpiadi, un anticipo di Primavera.
E poi sono le due della notte e questo “appostamento” dura ormai da più di un’ora e magari non sortirà nessun effetto e non verrà nessuno a girare una scena in questa “stramaledetta” Fontana di Trevi, che manda giù altri ettolitri di acqua ad aumentare l’umidità. Ho cambiato già postazione da vicolo dei Modelli, dove non avevo prospettiva, a vicolo del Forno, l’importante è che non mi vedano sennò mi cacciano. Perché ho fatto questo “schifosissimo “mestiere di fotografo volante senza neanche la garanzia di essere assunto da un giornale?! Libero, “freelance” come dicono gli americani, sono voluto rimanere, come qualsiasi artigiano, per cui un concetto di libertà è un’esperienza, una condizione assoluta di vita, prima ancora di qualsiasi altra cosa. Mio padre, nel raccontarmi di Pastorel, il testimone fotografico della Bella Epoque, mi ha insegnato a fotografare ed io mi sono appassionato. Sembra facile fotografare, ma non è così. Ci vuole, anzitutto, mano ferma sennò ti sfugge l’attimo; sensibilità e occhio per la luce, ancor più se usi il flash; confidenza con l’istante , percezione degli accadimenti e una certa spietatezza per gli eventi, che non esclude possa essere commozione.
Quello però che fa l’artista, quello che fa la “metafisica” della fotografia é la estrinsecazione impressionista, perché per ognuno l’attimo è diverso ed è diversa la rappresentazione. L’Uomo usa la macchina, non viceversa. Chi lo avrebbe detto, vero?!! Guarda un po’, le qualità per un semplice artigiano, qualcuno dignitosamente e orgogliosamente un giorno, lo dirà, che l’artigianato è arte, un neo umanesimo , inteso come umana arte?
Dippiù, il nostro mestiere è anche pericoloso, perché fotografiamo “senza rete”, rischiamo sempre le botte, nel senso che possiamo essere picchiati per uno scatto rubato , per una trasgressione documentata, per un silenzio urlato. E poi vuoi mettere. Come dice il mio amico Barillari, qualcuno si comporta male, ma le mele marce stanno in qualsiasi mestiere. Le corse sulle lambrette o sulle vespe che neanche Gregori Peck, sempre al limite, anche perché d’incanto in questo 1960, Roma, sembra tornata ad essere il centro del mondo. Le Aquile dell’impero sono tornate, anche se vestite da Zoe Fontana (che fu socia di Casartigiani n.d.r.). Anche con questo tempo, se vai a Via Veneto, a quest’ora, ci sono i posti in piedi e questi posti non sono occupati da persone comuni ma da sovrani in trono o in esilio, star, artisti famosi, premi Nobel e statisti, miliardari e puttane anche se di lusso, insieme a tanti curiosi e a tanti buffi stereotipi anonimi, sconosciuti anche a se stessi.
Zitti, che sta smettendo di piovere, anche se la Fontana imperterrita, continua a mandare giù ettolitri di acqua e l’umidità ti penetra nelle ossa, con brividi di dolore. Altro indizio che qualcosa deve accadere. Stanotte non hanno sospeso il getto come avviene normalmente di solito, per riprendere all’alba rappresentando uno degli spettacoli sconosciuti e misteriosi e più belli di Roma. Un boato sordo, come lo sbadiglio di un gigante, annuncerà l’arrivo del fiume di acqua distribuito irregolarmente nelle bocche riproduttive, metafora della sfrenatezza del caso e del rinnovamento della vita. Io l’ho visto e sentito e se uno può rinunciare al sonno vale la pena di viverlo. Ma fotografare l’attimo è impossibile non può rendere l’idea. Tutte queste sensazioni, insieme, la fotografia non le può realizzare sennò lo avrei fatto, a costo di annegare, perché il lavoro prima di tutto . Del resto, non puoi morire per spiegare la morte. Come la falena che per capire il mistero della fiamma si avvicina troppo e brucia. Adesso é veramente spiovuto, e io così intabarrato sto ancora nascosto in questo vicolo a vedere se la “dritta” che mi hanno dato è vera.Fellini, il Maestro o “il Dottore”, come lo chiamano tutti, dovrebbe allestire un set per una scena clou del suo nuovo grande film “La Dolce Vita”, proprio stanotte, a Fontana di Trevi. Amici, quelli di Cinecittà , mi sono costati una cena a “Squarciarelli” , ma mi hanno assicurato che ci saranno, con la troupe, solo quella “sventolona” della Anita Ekberg, che loro hanno già soprannominato Anitona, e il grande Marcello Mastroianni, amico di tutte le Maestranze dei tecnici e delle comparse. Guarda Te, come inganna a volte l’impressione, sempre e ancora quella che fa differente la fotografia e la vita (ecco perché il fotografo deve essere bravo e renderla veritiera). Marcello così bello e raffinato è invece così alla buona e in fondo così fragile con quella sua introvabile voce, che è già un po’ anticipo, complice e disperato di commozione. Sembra, che il “Dottore” abbia riservato finalmente, anche a noi fotografi, un personaggio importante, sul tipo del grande collega Tazio Secchiaroli. Così almeno mi dicono gli amici della redazione del giornale della Capitale.
Questo personaggio sarà interpretato da Walter Santesso e si chiamerà “Paparazzo”. Chissà, se il film avrà successo, un giorno tutti noi saremo definiti paparazzi?! E’ simpatico speriamo non diventi disgraziato questo nome per i tempi che cambiano. Non è il nostro mestiere, che è cambiato, è la vita che è cambiata. Una volta vincevi il premio Pulitzer, perché fotografavi undici operai in una pausa pranzo, seduti tra cielo e terra, e senza particolari sicurezze su una trave al quarantunesimo piano di un grattacielo in costruzione a New York, oppure perché coglievi l’attimo eroico e fuggente della terra penetrata dall’asta di una bandiera gloriosa sorretta da cinque marines ad Iwo Jima. Adesso ci vogliono fotografare le verità nascoste, i segreti e le miserie degli eroismi quotidiani e di guerra non frega niente a nessuno. La fotografia riproduce, non crea si dice, anche se per noi artisti impressionisti non è così.
Adesso è il suo tempo ogni avvenimento va di pari passo con il suo tempo. Adesso è tempo di dolce vita. Questa illanguidita, lussuosa, accidiosa disperata ignavia che vanifica ancor più ciò che è vano. Del resto, noi fotografi siamo nemici dell’illusione, avversari della fantasia, in ultimo malinconicamente, crepuscolarmente negatori delle speranze. Chissà se si era pensato tra i pionieri che sarebbe finita così.
Ogni invenzione porta in se la controindicazione e con il mistero va via il sogno. Il dipinto immaginava, illuminava, creava, migliorava a volte stravolgeva e ancora lo fa anche sotto le forme più diverse. Potevi guardare in faccia anche Dio e rappresentarlo. A noi anche ai migliori tutto questo è negato e c’è molto di triste, di premonitore in una foto ma anche di invadentemente realistico e straziantemente palese. Ma tutti questi pensieri derivano forse dal tempo, dall’umidità, oltreché dalla stanchezza. Se fosse stato luglio, la penserei in maniera più ottimistica anche se prima ci si rende conto della casualità e meglio é. Chissà perché però mi è venuto in mente Papa Giovanni? O meglio lo so perché questo Papa ci ha dato una speranza. C’ero anch’io a fare il servizio quando è andato a Regina Coeli con quei delinquenti “incalliti” per quanto possono essere “incalliti” i delinquenti, a Roma, di questi tempi, che gli si sono inginocchiati, piangenti, davanti. C’ero anch’io quando è andato al Bambin Gesù e quella bambina morente l’ha chiamato, nonno, mentre Lui la baciava teneramente. Sarà stato un caso ma la bambina ha superato quella crisi e adesso dice che gli deve scrivere delle letterine. Caso o Previdenza? Potesse il povero umile fotografo imprimere l’assoluto come un artista del Rinascimento, con una magistrale sintesi spaziale, con una intensità cromatica trascendente, col disegno raffaellesco, con l’intensità drammatica michelangiolesca. Un momento eccoli! Stanno rapidamente allestendo il set . Il “Dottore” ha quella vocina romagnola, che diventa sferzante, ma lo slang dominante è il romanesco la lingua ufficiale del neorealismo e dell’epopea del cinema italiano. Mi devo sbrigare, dopo il ciak ammetteranno altri fotografi e tutto questo sacrificio sarà servito a niente. Ci vuole uno scatto magico, un qualcosa di diverso di paradigmatico. Eccolo Marcello, sta chiacchierando su una scena già girata quella della conclusione, dice che lui vede una giovanissima attrice, la Ciangottini, che rappresenta la purezza e l’innocenza, ma anche la speranza, sulla spiaggia di Fregene, che gli parla, ma lui non capisce perché il rumore del mare copre la voce mentre lei rassegnata gli sorrise ineffabilmente. Federico è allegro, parla piano e non lo sento, capisco solo “è un archetipo” poi ancora “Giulietta mia quando era ragazza” poi “aspetta il mio via”. Perlomeno così mi pare.? Sta per iniziare il ciak: escono dal vicolo, la Ekberg posa un gattino bianco su un andito di marmo. Speriamo recuperino il micio. A Roma si sa chi fa male a un gatto muore ammazzato. Ma che fa Anita? Entra nella Fontana. E’ più bella lei del “marmo”. Il Tritone sembra quasi inorgoglito preso com’è a trattenere il mare. Scatto, adesso, scatto! No aspetta! Lei dice: “Marcello come here”! “Vieni qui”! E lui: “ma sì hai ragione tu, vengo anch’io”. Potenza attoriale. Ma come Marcello così attento a tutto e pigro che fa un salto così sconsiderato, a gennaio poi. Entra le va incontro e la ghermisce, sembra si aspettassero da sempre? Ho scattato! E questo “clic” ha il sapore dell’eternità. Il primo ciak quello buono l’ho scattato io! Chissà quanti epigoni, più o meno improbabili, faranno la stessa cosa magari con altri improbabili, improvvisati e decadenti personaggi ma la prima volta l’ho immortalata io. Devo correre al giornale chissà se un giorno inventeranno un modo per trasmettere velocemente le foto?! Ma sarà venuta bene?! Esco per via delle Muratte, giro per via delle Vergini e ancora per via dell’Umiltà, qui l’anno scorso è stata fondata la C.A.S.A. la mia organizzazione ma le foto non le ho fatte io. A via del Corso ho dinanzi il Vittoriano, sembra veramente una torta nuziale, eppure piace tanto agli americani, i più sprovveduti pensano l’abbiano fatto gli antichi romani. Piazza Venezia mi ghermisce da tutti i lati. Non lo capiscono, ma chi sta a Roma si sente al centro del mondo, come se tutto il resto dell’orbe fosse provincia. Qui tutto è accaduto e tutto accadrà. Il “dottore” mi aveva visto dall’inizio ma ha fatto finta di niente e poi dicono che gli piaccia l’audacia. Cerca di penetrare il mistero con le armi dello scetticismo, della malinconia, dell’ironia. Cerca di dare un senso a tutto ma ammette coraggiosamente e onestamente di non riuscirci, oppure di non volerci riuscire. Almeno Lui ha messo alla berlina coraggiosamente, consapevolmente questa distratta e distraente, in fondo disperata dolce vita. Almeno Lui è stato Federico Fellini. Con la sua mente piena di favolose visioni, resa nobile da un profondo sentimento del dolore, con una sincera complicità verso gli umili, capace di far divenire i fatti suggestione e leggenda e la vita favola anche così com’è, crudele e misteriosa.

P.S. Sono passati cinquanta anni di Federico oltre dell’immenso patrimonio di cultura è rimasto Largo Federico Fellini in capo a Via Veneto, dove adesso se vai quando notteggia non c’è nessuno, se non qualche americano o pseudo tale alla ricerca, con Proust, del tempo perduto. Poi una targhetta a Via Margutta al numero 110 dove c’è scritto qui vissero Federico e Giulietta. Stava male Federico e una suorina in ospedale insisteva perché recitasse l’Ave Maria . Lui si difese dicendo che non la conosceva. Lei ostinatamene insisteva perché la ripetesse insieme a lei. Sembra ma non è sicuro, anzi non lo è affatto, che Lui un po’ per trasgressione a rovescio, un po’ per far contenta quella dolce vestale ripetesse: Ave Maria piena di Grazia, il Signore è con Te tu sei benedetta tra le donne e benedetto il frutto del seno Tuo Gesù. Santa Maria madre di Dio prega per noi peccatori adesso e nell’ora… Poi il silenzio. La suora non ha voluto parlare più. Chissà che penserebbe adesso Federico di questa “Amara vita”? I paparazzi Ti ringraziano Federico.

G.B.

 

Notizie dalle associazioni casartigiani di tutta italia Diffondere la coscienza dei valori dell’Artigianato nel suo ruolo storico quale primaria forza sociale, economica e culturale.

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Il Welfare bilaterale artigiano
Gli Organismi e i Fondi Bilaterali nazionali e territoriali nell’artigianato - EBNA/FSBA, SANARTI, FONDARTIGIANATO, OPNA sono strumenti di welfare contrattuale finalizzati a mettere in campo interventi a tutela dei datori di lavoro e dei dipendenti.

Il Welfare bilaterale artigiano, eroga prestazioni e servizi che vanno dal sostegno alle aziende in crisi e al reddito dei lavoratori dipendenti in costanza di rapporto, a interventi a favore delle imprese e del loro sviluppo, all’assistenza sanitaria integrativa e a corsi di formazione professionale, fino alla costituzione di una rete di rappresentanti della sicurezza territoriale.

Racconti artigiani
Dalla penna di Giacomo Basso, i racconti artigiani pensati per esaltare l’artigianato attraverso l’uomo.
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