A volte, il vuoto lasciato da una persona si sente più con il cuore che con gli occhi, si avverte in
quei piccoli gesti quotidiani, nel posto a tavola che resta vuoto, in quella presenza silenziosa
che sapeva dare ordine, conforto e direzione.
È passato del tempo da quando Giuseppe Guarino, lo “Zio Pino”, non c’è più. Eppure, il suo
ricordo è ancora vivo, non si sbiadisce, non si allontana. Resta lì, limpido, come se bastasse
chiudere gli occhi per rivederlo seduto al suo posto, con lo sguardo attento e le parole sempre
misurate. Un uomo di silenzi pieni, di gesti equilibrati, di sguardi che dicevano più di mille
parole.
Nato il 10 febbraio del 1907 da papà Luigi e mamma Elvira, Guarino è stato prima di tutto un
uomo giusto, un artigiano nel senso più nobile del termine, un instancabile servitore della sua
comunità che ha difeso, rappresentato e valorizzato per tutta la vita.
Non ha avuto figli suoi ma ha saputo essere padre nell’anima, amando i suoi nipoti (figli di sua
sorella Emilia) e i loro figli, come se fossimo tutti, parte di una famiglia che aveva scelto, non
solo ricevuto.
Era un uomo complesso lo zio Pino, dal carattere forte, non facile. Era severo, a volte duro,
certamente esigente, ma sempre mosso da un profondo senso del dovere e da un amore che si
esprimeva nella forma più difficile e nobile: la verità. Non era il tipo da grandi abbracci o
parole dolci, ma chi ha avuto il privilegio di stargli vicino sa che dietro quella scorza austera e
a volte spigolosa c’era una sensibilità vera, una determinazione profonda a fare il bene,
soprattutto per la sua famiglia. Aveva un modo tutto suo di dimostrare affetto: più fatto di
gesti che di parole, più di presenza che di abbracci. Era buono, di quella bontà severa, che non
si concede facilmente, ma che quando arriva ti riempie la vita. Cercava sempre di
accontentarci a modo suo, con discrezione, con fermezza, con quel suo modo un po’ burbero
ma sincero di volerti bene.
Il centro del suo mondo era Pina, sua moglie, un amore lungo quasi sessant’anni, costruito
giorno dopo giorno con la pazienza e la profondità delle cose vere. Si raccontavano tutto:
pensieri, dubbi, speranze. Lei era la sua confidente, la sua bussola silenziosa, la voce a cui
affidava ogni pensiero importante. Lui, uomo solido e deciso, abituato a guidare e farsi carico
del mondo, davanti a lei diventava più quieto, più dolce. In sua moglie trovava non solo
consiglio ma riparo. Si confidava, le raccontava le sue giornate, le sue preoccupazioni, i suoi
successi, le sue fatiche. Si lasciava consigliare, a volte correggere, senza mai sentirsi meno,
perché davanti a lei non doveva dimostrare nulla, bastava esserci. Non c’era decisione che
prendesse senza prima guardarla negli occhi, perché nel suo sguardo ritrovava misura,
equilibrio e quella verità semplice che solo chi ama profondamente riesce a vedere nell’altro.
Il loro era un amore silenzioso ma profondo come il tempo. Un amore di quelli che non
chiedono nulla e danno tutto, di quelli che non finiscono nemmeno quando la vita finisce,
perché restano impressi nella pelle, nella memoria di chi li ha visti e nel modo in cui si
continua a vivere. Quando il tempo ha cominciato a farsi più fragile e la vita li ha separati,
quell’amore non si è spento, ha solo cambiato forma e vive ancora oggi negli occhi di chi ha
capito che se è vero che l’amore non salva dalla morte, è altrettanto vero che l’amore, quello
vero, vince il tempo, non teme l’assenza, non ha una fine. E oggi, quel legame è ancora qui,
non solo come memoria, ma come esempio, perché ci sono amori che non si raccontano, si
tramandano.
Era sarto, artigiano dell’eleganza. Con Pina, ha costruito, con anni di sacrifici e passione, una
sartoria che era per oltre cinquant’anni è stata sinonimo di eleganza, sobrietà e stile. In quel
piccolo regno di stoffe e bottoni, si respirava un’idea di bellezza che oggi sembra persa, un
laboratorio di arte e perfezione, dove ogni capo raccontava una storia fatta di tessuti scelti con
cura, di dettagli pensati fino all’ultimo punto e di mani esperte che sapevano tradurre in realtà
i desideri dei clienti, anche quelli più esigenti.
Ma il suo ago non cuciva solo stoffe; cuciva legami, difendeva diritti. Ha speso la vita per
l’artigianato e per gli artigiani, con una dedizione quasi religiosa. Rappresentante, dirigente,
presidente e dietro ad ogni incarico c’era una missione più alta: tutelare la categoria e la
dignità del mestiere.
Con uno spirito di servizio encomiabile e una visione lungimirante, ha ricoperto numerosi
incarichi di grande responsabilità, ma mai per ambizione personale. A noi, soprattutto, piace
ricordarlo come Presidente dell’Associazione Artigiani della Provincia di Palermo dal 1959 e
dal 1980 Presidente della CONFEDERAZIONE ARTIGIANI SINDACATI AUTONOMI (C.A.S.A.,
oggi Casartigiani), entrambe cariche che ha mantenuto sino alla sua scomparsa. In ogni ruolo
portava con sé la voce dei colleghi, il loro bisogno di essere ascoltati, la voglia di essere
compresi.
Guarino non si concedeva pause, non conosceva il tempo libero e non se ne lamentava. Il suo
tempo era per gli altri, per il lavoro, per quelle battaglie quotidiane e silenziose che fanno la
differenza. C’era sempre una causa da sostenere, un artigiano da ascoltare, un diritto da
difendere. Per comprendere al meglio ciò che significava lavorare al suo fianco, non esiste
fonte più attendibile ed autorevole del Presidente Nazionale di Casartigiani Giacomo Basso
che in una lettera indirizzata ai dirigenti Confederali del 27.01.1998 per l’ultimo saluto al
“Patriarca”, ha ricordato così il “grande Vecchio”: “La sua era una scuola dura, non c’era spazio
per il tempo libero, per tutte le gioie e gli svaghi di un giovane. Lavoro, lavoro e ancora lavoro e
poi se lo meritavi e solo se lo meritavi, ti concedeva delle soddisfazioni. Ma la sua scuola ti faceva crescere.
La Sua era una scuola sana.”
A casa, lo Zio Pino, aveva il suo regno: lo studio. Un luogo quasi misterioso, con quella
scrivania enorme, coperta di carte, documenti, fogli appuntati in fretta e telefonate che
sembravano non finissero mai. Eppure, anche in mezzo a quel turbinio d’impegni, lasciava
sempre uno spazio per i suoi nipoti. Per tenerci impegnati, dava dei fogli bianchi da colorare.
Una volta finiti, li guardava attentamente e poi dava il suo giudizio. A volte diceva che si
poteva fare di meglio, ma non per scoraggiare, era il suo modo di insegnare che anche la
critica ha un valore, che nella vita non si cresce solo con gli applausi.
Aveva le sue abitudini, quasi rituali. Ogni giorno alle 19.00 in punto, si sedeva nel suo studio e
sempre, puntuale, attendeva la telefonata del suo compagno di tante battaglie, Giacomo Basso,
che per lui era come un respiro di aria fresca. Parlavano di lavoro, ma anche di vita, di sogni,
di Sicilia. Guai ad interromperlo, quel momento era il suo rito, il suo orologio interiore, un
spazio di confronto, amicizia e memoria condivisa.
Durante i pasti voleva stare a capotavola. Non per autorità, ma per appartenenza e guai se non
era servito per primo: non era vanità ma bisogno di riconoscimento. Anche i più forti, a volte,
chiedono semplicemente di essere visti.
Non amava festeggiare il compleanno, anzi chiedeva sempre di non dirlo a nessuno. Come se
ignorare il tempo potesse rallentarlo, come se il silenzio potesse diventare una forma di
resistenza. Ma il tempo, lo zio Pino non lo ha mai temuto, perché chi dedica la propria vita agli
altri, chi lavora per qualcosa di più grande di sé, alla fine vince sul tempo, lo trascende.
A pensarci oggi la sua figura si staglia nella memoria come quella di un albero secolare. Un
punto di riferimento solido, che forse non cercava di farsi amare, ma che ha lasciato amore
ovunque. Una persona che ha vissuto con coerenza, con impegno, con una visione precisa del
dovere e della vita. Un uomo che ci ha insegnato che la dedizione non ha bisogno di applausi,
che la presenza può esprimersi anche in silenzio e che la famiglia – anche quando non è fatta
di figli propri – può essere costruita giorno dopo giorno con gesti, parole, sacrifici e affetto
vero.
Oggi che Guarino non c’è più, resta la sua eredità morale, fatta d’impegno, di passione, di
coerenza. Resta l’impronta viva di una persona che ha scelto di dedicare ogni energia non solo
al proprio mestiere, ma alla difesa di una categoria intera. Resta la sua “voce”, ferma ma piena
d’umiltà che ripeteva con fierezza: “Sono orgoglioso di essere stato ed essere tutt’ora un
artigiano”. In queste parole, rilasciate in un’intervista al periodico “Notizie dell’Artigianato”
nel settembre 1987, c’è tutta la sua vita. Una vita vissuta nel segno del lavoro, della
responsabilità, della comunità. Una vita che ci ha insegnato che essere artigiani non è solo un
mestiere ma un modo di stare al mondo, fatto di cura, di dignità e di passione autentica.
Giuseppe Guarino se n’è andato, ma quella passione che ardeva in lui non si è spenta, ha solo
cambiato fiamma. I suoi insegnamenti, il suo impegno e la sua visione trovano nuova forza e
continuità grazie al Presidente Basso, che non si è limitato a proseguire quel cammino, ma lo
ha ampliato, rafforzato, reso ancora più vivo. Con determinazione e fedeltà agli ideali
condivisi, ha fatto crescere Casartigiani, promuovendo innovazione, sviluppo e rafforzando il
ruolo degli artigiani nel tessuto economico e sociale del nostro Paese, trovando nuovo slancio,
nuove forme, nuova forza. Non si è trattato solo di costruire una memoria, ma di trasformarla
in futuro, perché certe vite, quando sono vissute con onestà e passione, non finiscono ma si
trasformano in radici e da quelle radici, grazie a chi ha il coraggio di crederci ancora – come il
Presidente Basso – crescono alberi sempre più forti, sempre più alti.
Alessandro Spallina
P.s. Nota di recensione di Giacomo Basso
Abbiamo dato tempo al tempo, adesso Alessandro Spallina ha avuto il compito della memoria, del ricordo. Ora che si è reso conto della difficoltà dell’inserimento nel mondo del lavoro, il “Saraceno”, come lo chiamiamo noi, è cresciuto e potrà dimostrare la sua vocazione in qualsiasi contesto e in più ha fatto un bagno di umiltà che fortifica, energizza e dà dignità.
Lui, adesso, ha titolo culturale per raccontare questa storia e riportarne il senso.
Pertanto, volentieri, pubblichiamo e ricordiamo questo piccolo grande Uomo e incoraggiamo Alessandro Spallina a non perdere dopo aver vinto, e avendo saputo rappresentare il credo dello zio a portarne, con dignità, il retaggio.